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Sono vedovo, e poi?

20 Aprile 2009

Sono vedovo da quasi un anno e sono un papà di due bambini, un maschio e una femmina, di 12 e 9 anni. Vivo in un paese di 2000 abitanti e lavoro a circa mezzora da dove vivo coi miei figli.

 

Sia prima che dopo la morte di mia moglie, i genitori di lei sono stati sempre troppo presenti nella nostra/mia vita, in particolare a causa del fatto che abitiamo da anni nell’appartamento sopra al loro. Negli ultimi mesi della malattia di Anna, avevamo anche deciso di spostarci altrove, ma la malattia che l’ha uccisa è stata più veloce.

Adesso mi chiedo che cosa è meglio fare. Da un lato sento che desidero andarmene e ricominciare altrove, dall’altro sento che questo legame così stretto coi nonni è utile ai miei bambini, che fra l’altro sentono una relativa continuità con il passato. Il piccolo è molto legato al paese e sento che sarebbe una violenza portarlo via ora. Tuttavia, ogni giorno sento che devo combattere per recuperare uno spazio vitale che sento mancarmi, e qui dove viviamo mi sembra impossibile. Devo rendere conto dei miei spostamenti, delle persone che frequento, mi sento i commenti su ogni scelta, dal luogo di vacanza  che scelgo, all’opportunità di far fare  un corso in piscina o di rugby!

Non solo comprensibilmente i miei suoceri non potrebbero mai capire la mia scelta di andare via, ma anche tutto il paese giudicherebbe come inopportuno uno spostamento, figuriamoci un’eventuale nuova relazione (cosa che non ho, ma che avendo 35 anni non mi sento di escludere a priori).

 

Mi dia un consiglio nell'interesse dei miei figli.

 

 

(Aldo, 35 anni, provincia di Asti)

 

Caro Aldo,

ho intitolato la sua lettera “sono vedovo, e poi?” perché credo che il succo della sua lettera stia proprio nella difficoltà che lei percepisce nel definire se stesso al di là della condizione di vedovo che, come “stato civile”, sempre meno riesce a esaurire la sua identità di persona e di uomo.

Mi chiede di darle un consiglio nell’interesse dei figli, ma nel suo caso non vedo un contrasto fra il suo interesse  e quello dei suoi figli. E’ importante infatti per tutta la famiglia riuscire nei tempi appropriati a guardare al futuro con speranza e con nuovi progetti. Sia per lei che per i suoi bambini.

Presumo dalle sue parole che la morte della mamma dei suoi figli sia stata dolorosa, parla di malattia, forse quindi non è stata neppure improvvisa. E’ possibile che i figli, come lei, abbiano dunque passato un periodo in cui dolore, speranza, accudimento ed esasperazione si siano succeduti disorganicamente, come spesso accade, nonostante dalle sue parole si intuiscano doti di equilibrio e di maturità.

So che molti non saranno d’accordo con me, ma io credo profondamente nel fatto che onorare il ricordo delle persone che abbiamo amato stia infatti più nel perseguire progetti e opere nuove che non nel fermarsi a guardare indietro, rimpiangendo ciò che non c’è più. Se anche le persone che abbiamo amato ci hanno amato, non possono che desiderare il nostro bene, perché amare significa volere il bene dell’altro. E se è possibile immaginare che il bene prosegua dopo la morte, credo che è così che si concretizzerebbe, nel sostegno affettivo alle opere nuove di chi resta.

 

Questo guardare avanti è certamente più alla portata sua e dei suoi figli che non alla portata dei suoi suoceri, i quali perdendo una figlia ad un’età che presumo sia ormai avanti hanno ricevuto dalla vita una prova durissima. Non credo che su questo riuscirete a trovare un modo comune di vedere la cosa, e non credo che questo possa essere un obiettivo ragionevole per lei. Tuttavia vi auguro di trovare fra voi quella comprensione reciproca dei vostri diversi stati esistenziali, stati che hanno entrambi le proprie buone ragioni per essere come sono (e quindi per divergere).

 

Credo che sia una buona cosa far passare un po’ di tempo prima di attuare il suo progetto di spostamento logistico, in modo che non sia temporalmente troppo vicino alla morte della mamma,  e che sia opportuno agganciarlo a qualche ragione specifica (per esempio una maggiore vicinanza al suo lavoro, ad una scuola dei figli, etc), lasciando sullo sfondo il suo bisogno di autonomia, sia nei confronti dei suoceri sia nell’argomentarlo ai bambini.

 

So che ogni cambiamento è potenzialmente problematico, specialmente se intorno si ha un ambiente tradizionalista e un po’ chiuso, come sanno a volte essere le realtà di paese; ma questo che ha in mente –se se la sente e se lo desidera- è un buon progetto, e io tifo per lei.

In bocca la lupo, davvero.

(a cura di Linda Francioli)

 

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