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Mia figlia ha grossi problemi, come aiutarla?

Mia figlia ha grossi problemi. Non riesce a parlare col padre e spesso non vuole neppure vederlo.

Ho provato con fatica a coinvolgere il padre in un percorso di mediazione famigliare, è venuto, ma dopo tre volte –anche per errori miei- si è rifiutato di continuare. Così come durante la nostra vita insieme, anche ora continua  a mostrarsi arrogante e insensibile e mi rabbia vedere che anche mia figlia è coinvolta nelle coseguenze del suo carattere insopportabile.

 

Mi consigliano di portare mia figlia da uno psicologo infantile, oppure di fare io un percorso sulla genitorialità. Ho in passato già un’esperienza di terapia breve e mi è stato di grande aiuto.

Lei cosa consiglia?

Donatella

 

Cara Donatella,

ovviamente sarebbe necessario sapere quali sono questi "grossi problemi" per poter indirizzare al meglio.

In assenza di queste informazioni, il mio sarà necessariamente un discorso generale e generico, che riguarda il tema se è meglio farsi aiutare (come coppia o come madre) in alternativa al portare direttamente un fglio da uno specialista.

Da quello che scrivi mi sembra che la realtà sia evidente: come genitori non riuscite a "lavorare" insieme, il padre che ha tua figlia non ti segue sulle tue proposte; non so quali siano le ragioni, parli di errori anche tuoi, ma questa strada è fallita, meglio prenderne atto e andare oltre.

Lui non è il padre che avresti voluto per tua figlia, eppure lo è. L'accettazione di tua figlia per suo padre passa dalla tua accettazione della realtà. Se sei arrabbiata con lui, tua figlia assorbirà la tua rabbia. Non ha bisogno di uno psicologo, ha bisogno di capire come si gestisce la rabbia e la frustrazione.
Ma forse ne hai bisogno anche tu e se lo impari tu, puoi passarlo "naturalmente" anche a lei.

Direi infatti che il tema va posto come un problema che tua figlia ha con suo padre, non un tuo problema.
Tu potresti esserle di grande aiuto e supporto nella gestione di questo suo problema, ma solo se riesci a distingure per bene (e magari a risolvere) la questione tua personale con lui da quella di tua figlia con suo padre, non sono la stessa cosa.
Potresti immaginare quello che faresti se il problema di tua figlia non fosse con il padre ma con un'amica o con la maestra; in questi casi credo che sia facile per te cogliere il fatto che serve una comunicazione che aiuti lei a trovare una sua soluzione. Insomma il tuo contributo sta nell'aiutarla a trovare un senso/una soluzione per LEI, non  nel darle il tuo senso e neppure nel toglierle il problema, magari modificando la sua amica o la sua maestra..!!impossibile!.

La stessa cosa riguarda suo padre: non puoi pensare di modificarlo, ma puoi fare molto per aiutarla a sostenere e gestire la frustrazione che sente nella relazione con lui. L'obiettivo che hai è quello di renderle gestibile una relazione a cui non potrà rinunciare, anche se forse lo desiderebbe tantè che non lo vuole vedere. Eppure come ci ha insegnato Freud la "negazione" di un legame non significa che lo abbiamo lasciato andare, anzi è esattamente l'opposto: è un legame psicologicamnete fortissimo, purtroppo di segno "negativo".

Si tratta di capire se hai la motivazione e le risorse per farlo, questa sarebbe la strada più efficace: i genitori secondo me sono molto più efficaci dei terapeuti coi loro figli: la genitorialità consiste infatti nell'aiutare i figli mentre affrontano i loro problemi della vita, e se essi stessi in coscienza non si sentono capaci può darsi che abbiano bisogno di un piccolo sostegno, magari ricorrendo a qualche aiuto esterno professionale; i percorsi sulla genitorialità che anche Genitori Singolari offre mirano al potenziamento di queste competenze.
Altrimenti se questa strada non è a vario titolo praticabile-e solo in questo caso- va bene delegare.

In bocca al lupo!

(a cura di L.Francioli)

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